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/ Impro #1

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Una mostra di Fabrice Bernasconi Borzì e di Ivan Terranova.

Da un’idea di Carmelo Nicosia.

 

Con la regia di Ilaria Bonacossa, Artissima Fair ha organizzato un evento JaguArt 2020 con l’intento di coinvolgere le Accademie di Belle Arti e le più importanti gallerie italiane, nel ruolo di giurie. Dieci Accademie, dieci gallerie e vari artisti selezionati. Le varie tappe del progetto si sono susseguite fino ad arrivare a Catania. L’evento si svolge in uno scenario atipico per il mondo dell’arte, in una concessionaria d’auto, la Jaguar. Le auto lussuose fanno da sfondo alle opere degli artisti Tra questi artisti, due in particolare arrivano ad essere i finalisti Fabrice Bernasconi Borzì e Ivan Terranova.

Fabrice e Ivan non vincono, ma custodiscono le loro visioni. E a questo punto che Carmelo Nicosia e la Galleria Massimoligreggi decidono di collaborare e dare vita alla mostra Impro #1.

La mostra dal titolo Impro#1, vede protagonisti Fabrice Bernasconi Borzì e Ivan Terranova, in un dialogo tra le loro diverse pratiche. Impro come improvvisazione, un’improvvisazione performativa che richiama anche il mondo della musica, in particolare il Jazz. Improvvisazione di due solisti, di un duo, che con due strumenti diversi vivono una libertà costretta dall’altro. Ivan e Fabrice vivono cosí la loro individualità in due, in un continuo dialogo tra di loro e le loro diverse tecniche artistiche, la fotografia e l’installazione. È un progetto ideato da Carmelo Nicosia per gli spazi della Galleria Massimoligreggi. Fabrice e Ivan hanno accettato la sfida di provare a immaginare una narrazione espositiva e di innescare un gioco di osmosi, cura e attenzione, l’uno dell’altro. Fabrice sperimenta il linguaggio della fotografia, Ivan i codici installativi.

 

Fabrice ha studiato la ricerca fotografica del suo collega, che in breve, è una costante ricerca del territorio, delle geografie concettuali e dei limiti territoriali dei suoi confini. Tutto questo in un rapporto di installazione controllata del suo paesaggio che può essere culturale e non. Le basi del lavoro di Fabrice, del suo pensiero: è un’idiota, un mediocre. Lavora molto anche su ciò che significa fare arte, proponendo la sua attività di responsabile tecnico di galleria e museo, mantenendo un linguaggio del temporaneo e “la mia programmazione dell’oblio.”

 

Sono passati poco più di quattro anni dall’ultimo concerto di Ivan. Ricorda ancora bene la melodia di it could happen you, tra le più conosciute canzoni americane, che chiudeva una bella serata di standard & originals suonate dal duo composto da Ivan al pianoforte e da un suo caro amico alla tromba. Per citare il grande Wynton Marsalis: “lo swing apre dubbi sulle proprie convinzioni, fa arrivare a fondo, ma fa anche rispondere più liberamente perché ogni beat richiede ai musicisti di riformulare i rapporti tra loro. Anche in democrazia il beat perché sia efficace, l’unica strada è mantenerlo unito e condividerlo con gli altri…” Ivan aggiungerebbe che anche l’arte, per essere efficace, dovrebbe rispettare questo esempio. Essere condivisa, per mantenersi libera. Con questi presupposti Ivan ha deciso  di affrontare l’opportunità di una mostra bi-personale con l’amico Fabrice. Esattamente come quel concerto di quattro anni fa, come un solista, abituato a pensare sempre e solo al proprio lavoro e alla propria ricerca, deve, adesso, preparare un progetto condiviso. Confrontarsi su un percorso comune, partendo da linguaggi molto diversi, quali sono la fotografia e l’installazione. Questo confronto, ha significato dover studiare, approfondire, sperimentare e scendere a compromessi. Un continuo incontro-scontro, simile all’interplay, in cui, partendo da ricerche diverse, si raggiunge un medesimo obiettivo.

Ivan lavora con la bidimensionalità e la fotografia.  Ha deciso per l’occasione di accelerare certe strategie e ricerche che in questi anni lo portano a guardare la fotografia e l’immagine non solo, come superficie bidimensionale, ma dove ricercare una fisicità e una multidimensionalità, allontanandosi gradualmente dal supporto cartaceo e dalla cornice. Un paesaggio- scenario, in cui “comporre” e mettere in scena un’idea.

 

Fabrice e Ivan hanno suddiviso lo spazio, tre opere per tre.

 

La prima opera di Fabrice, this could be è una serie fotografica di semplici situazioni, oggetti posizionati casualmente da qualcuno, o qualcosa, con un potenziale valore artistico. Ha messo a punto un sistema narrativo che parte dal presupposto che gli oggetti minimi, collaterali, appena visibili abbiano un valore, una connotazione, il racconto di un’altra società, forse più affascinante. Cerca di maneggiare la fotografia, non lo nasconde, e amplifica l’impossibilità di gestione delle produzioni di massa.

untitled, for the moment, polaroid project, raccoglie una serie di collage su polaroid,di un conflitto culturale durante un viaggio in uno spazio geografico delimitato. Ma il viaggio risulta sbiadito, offuscato, improbabile, poiché lui ricerca il senso del viaggio, ma fuori, il percorso non è valorizzato poiché vince la meta. La meta è comunicata, social, fotografata come feticcio e la polaroid cura il processo.

antieroe, potrebbero viaggiare nel cosmo della parodia; forse sculture, e gli oggetti sono annientati dalla mediocrità dei materiali. Fabrice, l’anti eroe, non vuole primeggiare ma affermare una palese mediocrità e semplicità, una distanza dalla bellezza convenzionale e dalla retorica dei linguaggi. La forza di gravità, un equilibrio precario.

 

GIARDINO KIMBEL. Quanto in profondità si può scavare dentro un’immagine? Quante storie, curiosità ed enigmi possono emergere dalla ricerca di ciò che è stato trascritto sulla superficie magico-alchemica dal gesto e dall’osservazione del fotografo? Cosí Ivan, ponendosi queste domande realizza il lavoro di Giardino Kimbei. Con il campionamento e la decostruzione di una stampa fotografica giapponese di fine ottocento, riflette sulla grammatica stessa del linguaggio fotografico. Dal paesaggio originale, ognuno dei campioni prelevati diviene un nuovo mondo circolare sul quale investigare, analizzarne i processi e portarli alle estreme conseguenze. Una metamorfosi realizzata non per sostituire bensì per prolungarne e amplificare nel tempo le possibilità di lettura di quel piccolo foglio di carta, chiamata Fotografia, sul quale sono stati sensibilizzati pensieri, scoperte, sogni e paure del genere umano.

 

UNA STRANA ESTATE IN MONTAGNA, un albero di natale, incastonato nel blu enigmatico della civiltà contemporanea. Un’ analisi dei processi culturali ed economici che pongono l’albero di natale da albero della vita ad albero dei regali e consumi. Prima di origine naturale, prelevato dal suo habitat naturale, successivamente albero di natura polimerica, scaricato a fine utilizzo nei luoghi d’origine. Processi, quelli culturali ed economici, che regolano la nostra società, ma che gran parte della stessa non conosce, o non ne ha la massima consapevolezza.

 

PELLE. Estremamente affascinato dalle cave, un territorio che sembra sospeso, luoghi di fascino. attiene all’oscurità, le cave che diventano non luoghi, sospese nella loro indeterminazione. Eros e Thanatos, afferma Ivan, nelle cave creazione distruzione. Una pelle morbida avvolge la quotidianità. Un luogo di fragilità e precarietà, cosi come tutti gli ecosistemi.

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