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Curiosa, Gelosa

Testo di Christian Manuel Zanon e Anna Daneri

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Amo le domande molto più delle risposte.

E questa mostra nasce da quest’intenzione, in un periodo di restrizioni e mutamenti, dove le certezze e le prassi acquisite, per necessità, vengono radicalmente messe in discussione.

Ritengo che il “nutriente” più vero e sincero dell’interrogativo sia la parola “perché?”, che determina l’ampiezza massima di ogni territorio di esplorazione, con gli ostacoli, gli errori e i ripensamenti che necessariamente con meraviglia ne conseguono. Penso quindi che la qualità prima dell’opera sia una restituzione interrogativa, anche minuscola, ma inesauribile.

Ho scelto di incardinare, secondo la prima linea progettuale, l’intera mostra proprio su questo.

Anche dal punto di vista delle scelte espositive la mostra si sostiene su due direttrici che fanno capolinea nel punto (ritengo – e spero – interrogativo) di due opere “aperte”.

Ieriromanza (2014 – 2015) è un’opera che si compone della relazione tra due rotoli di carta, lasciati pendere. Si tratta della codificazione di una partita a carte tra due interpreti assenti: nel gioco non vi è alcuna abilità e le risultanze sono determinate esclusivamente dalla successione casuale o fatale delle carte. Sostituendo al valore numerico delle carte una definizione proto-cabalistica e lasciando quindi al caso l’apertura della non-scelta si viene a comporre un andamento ironicamente “oracolare”. L’opera, concepita fisicamente secondo un’idea orientale, viene allestita ogni volta in maniera nuova, oscurandone se necessario anche il finale, per un’ottemperanza al suo stesso principio di ineffabilità.

Curiosa, Gelosa (2018) gioca invece sul rapporto scultoreo fra equilibrio e fragilità, secondo il noto principio di Lavoisier: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Alla sommità di un cavalletto datato, una composizione architettonica di elementi plastici restituisce la traduzione esatta del titolo dell’opera. Si tratta di regoli, semplicemente appoggiati l’uno sull’altro a innalzarsi come architettura. La scelta dei singoli pezzi, per numero e colore, è figlia di una traduzione / traslitterazione. Ma non il modo con il quale questi elementi vengono organizzati, che varia quindi ogni volta.

Seguendo una linea retta, al lato opposto rispetto a queste opere, sono presentati i relativi Memoriali. Si tratta di pezzi che catturano, attraverso l’immagine fotografica montata su una lastra di gesso, un momento della vita di questi esemplari. L’opera contiene elementi effettivi facenti parte della “matrice madre” e il fondo bianco in gesso, volutamente imperfetto e fragile, contribuisce ad una “memoria non solo visiva ma anche plastica”.Centro strutturale ed emotivo della mostra è Stella, una passeggiata indaco? , fulcro del mio paradosso interrogativo. L’opera, nelle stringenze momentanee dettate dall’emergenza, viene realizzata a partire da una riflessione sull’impossibilità: mediante un foglio di istruzioni viene assegnato al gallerista il compito pratico di un percorso nel centro della città di Catania. Ma che cos’è una passeggiata? Una distanza o un momento emozionante della nostra vita interiore? L’opera vede la sua genesi proprio nella difficoltà di quantificazione: se fosse solo una lunghezza sarebbe tutt’altro che indimenticabile come esperienza vissuta. Un gesto monacale e cadenzato restituisce, stella dopo stella, l’intera lunghezza percorsa nella speranza che le forme e i colori, con dolcezza silenziosa e commossa, nella sproporzione abissale che un tale procedimento richiede, rimandino in modo limpido e cristallino a quanto di bello provato – e non quantificabile – durante quei passi.

La mostra è accompagnata da un’opera sonora aspra, Preghiera alla Committenza (2020), testo teorico che riflette sulle tensioni drammatiche e spesso inascoltate che vive l’artista, spesso ai margini e condannato all’impossibilità di interlocutori. La parola, vivendo il limite di “ciò che vorrebbe dire ma non riesce e forse non riuscirà mai a dire” viene volutamente sfiancata, nella sostituzione di alcune lettere con dei suoni modulati. Più che la “comprensione” rimane il sentore, quasi l’aroma, di un pensiero che vive la sua stessa impossibilità.

 

CMZ

 

La preghiera riempie lo spazio a cadenza regolare, Christian Manuel Zanon ne ha affidato la libera interpretazione a un ingegnere del suono catanese, Michele Spadaro, che dà voce e suono al componimento, presente in mostra anche in forma testuale a mo’ di spartito. L’irrompere dell’audio fa da contrappunto, anche violento, all’andamento sinuoso e armonico delle opere lungo il percorso, enunciando una linea del dolore “lucido”, che scorre in molti lavori esposti.

Penso a Non chiedere il Rosso (2017), libro-installazione che raccoglie le poesie scritte dall’artista durante un periodo di soggiorno a Dublino, particolarmente sofferto. Queste non sono accessibili alla lettura se non per la pagina scelta (ho avuto io questo compito) per questa esposizione, intitolata significativamente “Liberazione”; e per il Capriccio in copertina, il paesaggio-francobollo custode del diario poetico.

La mostra segna un passaggio importante nella ricerca dell’artista. La sua genesi sedimentata nei mesi – e a distanza – lo ha portato a orchestrare una selezione coesa e densa di opere di periodi anche lontani, che aprono alla pratica attuale in modo cristallino. Assume la dimensione di una dichiarazione poetica, espressa in ogni lavoro e che funziona come insieme.

Al centro sta una relazione costante con il tempo, che se da un lato tende a essere trasceso (ho sempre visto il lavoro di Christian come “fuori dal tempo”, o “di tutti i tempi”), è presente come durata, come ritorno, come scorrere dell’esistenza. Non è un caso che le opere siano spesso frutto di processi temporali dilatati, che riportano la pratica artistica a una manualità rituale anche  faticosa, e condensati nell’opera quasi a superarli. Si diceva prima del diario, della traduzione scultorea dell’esperienza della passeggiata, del gioco: il tempo dell’esistenza e quello della vita spesso non coincidono ma si inseguono. Ne è prova una delle opere di gioventù, Armonica (2004), un dipinto a tempera realizzato ai tempi del liceo e “incorniciato” recentemente da un collage di carte da sigaretta che prende la forma di un cartiglio egizio, così come una delle opere della serie Frase Abrasa (2017), frutto di esercizi spirituali e fisici che l’artista fa sul testo. A partire da una pagina di un libro stampato si aprono possibilità di molti altri testi, attraverso la selezione di parole per trovare e l’abrasione con un bisturi chirurgico  per produrre una poesia.

“Zeitwort: parolatempo : l’aspirazione massima è che ogni opera sia una parola, che giustamente chiede a me del tempo e che vuole essere tempo.” (CMZ)

 

Le opere in mostra hanno in comune anche le conoscenze (derivante dagli studi di biblioteconomia e di restauro) e l’amore e per la carta. Quella custodita, lavorata e ricomposta delle sigarette che crea la serie di paesaggi Linea O (2019); quella, marmorizzata prodotta da un maestro cartaio veneziano, da cui sono ricavate le stelle della Passeggiata indaco e le note cromatiche puntiformi dello sfondo di Immane, Immemore (2020), che ritroviamo come smalto sulla mano aperta dell’artista e all’opera (“ricordiamoci sempre che le opere esistono perchè gli artisti collegano un pensiero a un lavoro, per quanto assurdo e improbabile a volte possa risultare” CMZ). Spensierata (Grammatica bianca) (2018) è una summa delle possibilità sperimentate da Zanon con la carta (in questo caso cotone) e si compone di ritagli praticati con il bucafogli, incisioni e battiture a martelletto e inserimenti di lettere trasferibili.  Erminio (2009), infine, esprime il rapporto viscerale con la carta di cui, “come per maiale: non si butta via niente”.

 

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